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EDITORIALE

L’Apocalisse non ci basta

L’anno nuovo, è, infine, cominciato.
È un anno diverso dagli altri e per affrontarlo, questa volta, non basta fare l’elenco «aziendale» dei buoni propositi. Non basta cioè dire che quest’anno vogliamo fare tante cose, fare questo, quest’altro, quello e quell’altro. Forse è, invece, necessario, provare a capire il «perché» facciamo certe cose piuttosto che altre.
Perché fare lavoro culturale nel 2023? Perché Momo, nel 2023?

L’apocalisse che incombe (clima, guerra, crisi economiche) ci costringe a porci questa domanda ogni giorno anche a livello personale. Spesso appare difficile trovare una via d’uscita dall’imbuto in cui ci hanno infilato i Governanti (tutti, G maiuscola). E quindi, perché insistere? «Perché non abbiamo altra scelta»? Forse ma è troppo facile, eppoi è un modo fuorviante di mettere le cose. La scelta, checché ne dica il buon Bifo, c’è sempre.

Nel 2023 la necessità di continuare la nostra battaglia culturale radicale appare inevitabile.
Facciamo un esempio, per capirci: l’estrema destra di governo ragiona e si pone il problema di «fare contro-egemonia». Fa un poco ridere, ma è così. Il fatto sottinteso è che questa egemonia ce l’avrebbe la cosiddetta «sinistra», tra virgolette. Che equivoco paradossale! La sinistra di governo – su questo ha ragione l’estrema destra «che rosica» – detiene sì i posti di potere della cultura, e ne detiene tanti negli interstizi e nei gangli, ma la sua egemonia appare così sterile, così effimera, e certo non è affatto «di sinistra».

Cerchiamo le prove di quanto diciamo. Che uso ha fatto negli ultimi decenni la «sinistra culturale» della propria egemonia? Cosa se ne fa della direzione di eventi enormi, di fiere, di saloni? Cosa ne fa degli spazi televisivi, radiofonici, giornalistici? In che direzione ha condotto il dibattito politico in questi anni? Quali temi sono stati privilegiati, quali dimenticati, soprattutto, quali risultati ha ottenuto?
Traspare da (quasi) ogni evento, da ogni programma, da ogni qualsiasi «cosa» inventata-organizzata-gestita dalla «sinistra culturale» – dal più piccolo al più grande – un’idea di cultura così neutra, così sottile e senza classe, senza colori né ciccia, senza spina dorsale, che sembra quasi trasparente. La cultura, per costoro, è la panacea di tutti i mali. In qualsiasi salsa essa venga presentata al convitato, egli deve accettarla e ingurgitarla in quanto antidoto ai mali del mondo. È una vera e propria mania, la loro «cultura di sinistra».
Ma la cultura per la cultura, non è una novità, si sa. Tant’è che, in questi pascoli che sono le città d'Italia, le tante pecore affamate hanno imparato da tempo a diffidare di questi organismi effimeri che sono gli uomini e le donne della «sinistra culturale» italiana. E infatti vanno ovunque tranne che a vedere i loro film, leggono qualsiasi cosa piuttosto che i loro libri, votano tutto tranne che la sinistra. Questo accade da anni. Da decenni.
L’evento nuovo è la reazione della «sinistra culturale», che è stata partorita in questi ultimi anni. Traslucida, tra mille parole, è apparsa infatti, prima inconfessata poi via via sempre più sbandierata, un’idea rimossa, che si sta ingigantendo sempre di più nei nervosi cervelli di questa gente della cultura «di sinistra», un’idea malsana di cui la battaglia contro il reddito di cittadinanza è un'escrescenza patologica: questa idea è la guerra ai poveri, ai precari, ai proletari (chiamateli come volete, chiamatelo anche popolo).
Non ci leggete? Non andate a vedere i nostri film? Non venite ai nostri eventi? Non ci votate?
«Bastardi ignoranti. Peggio per voi. Noi vi puniamo».

Il livello incredibilmente superficiale del dibattito culturale italiano è il risultato più lapalissiano del lavoro egotico e contemporaneamente spensierato (un po’ come si ballasse sul Titanic, ma in prima classe) dell’egemonia della «sinistra culturale». Si leggono dichiarazioni, spesso in forma di post autocelebrativi, veramente imbarazzanti. La distanza che separa chi «dirige» la cultura e il resto del paese è ormai un abisso di incomprensione e di equivoci.  Alla base di questa situazione c’è l’accettazione del modo di produrre neoliberista, un’accettazione «da sinistra» che sono trent’anni che fa furore ovunque si «faccia cultura», un’accettazione supina «da sinistra» che ormai ha fallito e ha aspirato ogni grammo di sangue dalla cultura. Che boccheggia, sterile, trasparente, diafana.

Non staremo certo a cercare di convincere gli idolatri del neoliberismo «di sinistra» a fare ammenda, dio ce ne scampi!, ma almeno non ci rompessero le scatole con i loro rimossi, le loro dimissioni trionfanti e i cambi di gestione aziendale. E, vedrete, presto arriveranno gli appelli «culturali» da firmare contro questa destra estrema…
Prendetene atto. L’azienda è fallita. Non si scherza più. «O di qua o di là».
L’Apocalisse non ci basta. La battaglia culturale del 2023, forse, è questa.